Catalogo, in lingua italiana, a cura di C. Giacomozzi, della Mostra alla Galleria "Viotti" di Torino
nel maggio-giugno 1970, ed. Galleria "Viotti"



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Testo critico del catalogo


      Anche se per lo più; parte impaginate dentro respiranti confini paesaggistici, questo gruppo di tele di Vincenzo Balsamo non si consumano affatto nelle articolazioni naturalistiche che sap- piamo, del resto, virtuosamente proprie del paesaggio tradizionale. Infatti, più che predisposta a celebrare le apparenze visibili, la pittura di Balsamo - pur nascendo da una diretta esperienza della realtà naturale - si concreta in assoluto in quelle ragioni compositive che pretendono appunto elidere ogni cor- relazione naturalistica della sostanza pittorica.

    Con il che non si assume che l'artista miri ad annullare totalmente la misura oggettiva della natura: diremmo, invece, che la natura gli rappresenta il giustificante pretesto per fissare un processo astrattivo che promuova in certo qual modo una reversibilità dei valori formali. Così come è assai bene espresso nel dipinto «Paesaggio in autunno» (del '67), dove appunto i segni della figuratività trasmutano in equivalenti non figurativi. Un'eguale contrazione dei valori originari in accezioni ricostituite si ha, inoltre, nella libera espressiva del colore che tende il più delle volte ad escludersi dalla pania del tono locale per determinarsi come puro organismo in sé autonomo, disposto - vale a dire - verso un'armonia sicuramente indipendente.

    Pertanto, non verificandosi un sensibile distacco dalle nozioni comuni, offerte appunto dalla natura, e tale da condurre il motivo compositivo nella rigorosa sfera dell'astrazione, ne consegue che la pittura di Balsamo si incentri essenzialmente nell'elaborazione e nella trasformazione dell'oggetto in pura forma: forma che se dissimula i caratteri didascalici delle apparenze sensibili, infine non ne distrugge l'intima essenza.

    Tuttavia, anche se immerso nel clima assai severo delle riduzioni formali, l'artista di tanto in tanto si riconduce ai cieli dell'emozione e stempera il suo fiato lirico nell'evidenza più nota della realtà: ecco, allora, il gettito improvviso - e incontrollato, si direbbe - di alcune nature morte. Fitte di elementi e illividite di colore, incastrate e tassellate in un ritmo serrato, macinate dalle contrazioni di una geomatria cubista «autre» o ancora linearmente distese nelle distribuite assonanze cromatiche, ovvero raccolte in quella misura cézanniana che risolve l'immagine nella campattezza degli oggetti, stretti in un unico nucleo figurale.

    Anche qualche paesaggio assurge dal fondo di questa pienezza poetica e ne mostra la sostanza nelle esplicite dichia- razioni narrative che il giuoco distillato e drammatico della luce e dell'ombra e la lava della materia aggrumata conducono peraltro ad effetti non totalmente descrittivi. Così per tutte le composizioni di fiori, aperti ad una solarità intensa, ridotti ad un'esplosione di colore.

    Ma l'ingegno del pittore si consuma sempre in un graduale e cosciente processo all'essenziale. Va detto, pertanto, che l'eleborazione continua ed inesausta del motivo - che possiamo agevolmente rilevare specie nelle opere recenti - apre le porte ad un risultato chiaramente riduttivo dell'immagine. Sia per zone che per masse e per stesure ampie e digradanti nel tono come nelle infiorescenze materiche (si veda il felice dipinto «Solitudine», del '65, di largo respiro permekiano),qui il paesaggio discopre i suoi umori più interni, raggiungendo una dimensione indipendente, ma non eversiva, che - peraltro - si rispecchia senza rossore nei valori identificati e identificabili della realtà.

    Ricostruito e rattificato il processo della percezione diretta proprio in virtù dell'immediatezza del fare pittorico, ecco determinarsi i valori interpretativi della realtà. E non è soltanto la forma a concludere l'espressione, ma anche il colore con i suoi strati timbrici in un alternante contraccolpo di corposità luminose. E la materia, ancora, grave e perenne, che gravita sulle masse e le assimila, riducendo lo spazio compositivo alla più estrema e legittima misura formale.

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